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…Questa è la mia famiglia in “Arte”, la congrega della quale io sono la Vecchia, la Sacerdotessa anziana della Dea…

venerdì, maggio 13, 2005

...e questo e quello e pure per te .....Ooooh!!!!


B: (seduto) Prendi un foglio.....Mi dai un foglio della macelleria?
T: (in piedi) Ma è bianco, puoi scrivere qua, no?
B: Dietro a un foglio con i conti della macelleria, ma vuoi risparmiare?Dammi una penna . Guarda (si alza e stacca una penna da un'oca appesa al soffitto)..qui c'è la cartoleria a portata di mano....Ecco qua.....(si risiede)...le penne (indicando l'oca)
T: (seduto) Mi raccomando, Saverio!!Non facciamoci riconoscere.
B: Stai tranquillo.
T: Con educazione.....

B: Caro....
T: Cerchiamo di fare una cosa.
B: Allora dettala te la lettera,eh?...Vai!
T: Avanti! Caro Savonarola.....
B: aspetta! Prima la data,no?Frittole....
T: Frittole. B: Quanto Sarà?
T: Quasi millecinquecento.
B: Frittole quasi millecinquecento'
T: 'O 'ssaje tu quant' n'avimmo?
B: Perché tu scrivi una lettera "Roma, quasi duemila? "
T: Non lo mettere...estate quasi millecinque, dai!Isso 'o sape.
B: Beh, aspetta mi informo io.Allora: caro....
T: Aspetta...
B: Caro no, non è un nostro amico.
T: Aspetta, non scrivere subito...
B: San...San...Sant...
T: Santissimo Savonarola B: Santissimo!!
T: Come sei bello....per esempio....cum si vulessm ricere...
B: Santissimo Savonarola.
T: Savonarola!!
B: Santissimo...
T: Savonarola!
B: Quanto ci piaci!
T: Quanto ci piaci.
B: A noi due.
T: Accussì, già vere che simm' seguaci
B: l'esclamativo ce l'avrà?
T: Mettilo! B: Vabbe'!!
T: Metti scusa le volgarità
B: Scusa le volgarità... ma come ...a Savonarola?
T: Per quello ogni cosa è peccato.... se vede il punto esclamativo può dire: eche è sto' coso qua??un uomo con il puntino...metti scusa le volgarita'...
B: ....volgarita'....allora mettiamo una freccia
T: No, no scusa le volgarita' eventuali
B: Eventuali, perché?
T: Eventuali, pecche' senno'.....'a vuo' scrivere come dico io Saverio ??Altrimenti quello dice: perché , volevano essere volgari e non ci sono riusciti?
B: (acconsentendo suo malgrado)Eventuali. punto......eh' come va'?.....no, non va!!
T: Santissimo, noi....non...
B: Santissimo Savonarola, lascia vivere Vitellozzo
T: Lascia... potresti lasciar vivere Vitellozzo ?
B: Vitellozzo!
T: Se puoi, eh?
B: Savonarola!
T: Savonarola Mo' adesso bisogna spiegare per bene perché lui fa' cosi'
B: Anche a dirgli .......lui è proprio uno che ..eeh, che c'è?
T: Appunto! e che è? B: E che è ?? Diamoci....
T: Non solo a lui....
B: Diamoci, come dire, tutti insieme, una calmata,eh! oh!
T: Eh! Tra parentesi
B: Eh! Oh!
T: Poi scrivi nel caso scusa la parentesi ...e che è, e che è? Qua pare ..che ogni cosa ,uno non si può muovere......che e questo e quello e pure per te .....Ooooh!!!!
B: Questo e quello,oooh!!!
T: Due personcine per bene,noi siamo personcine per bene.......
B. Che non facciamo male a nessuno...
T: che non farebbero male nemmeno a una mosca.
B: Figuriamoci...
T: Figuriamoci ad un santo come te.
B: Figuriamoci ad un santone come te
T: A un santone come te
B: Anzi, varrai piu' di una mosca,no?
T: No, pare che lo metti in competizione.....
B: Vabbe'...
T: Anzi dice tutto
B: Anzi, ciao!
T: NO, no, no, qua ci vuole un saluto per bene ..cioe' da peccatori umili.Noi ti salutiamo
B: Ti salutiamo con
T: Con...non sappiamo neanche noi
B: Noi...
T: Aspetta.Scrivi ....ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi.... proprio il massimo del peccatore. B: Con la nostra faccia sotto i tuoi piedi
T: ..sotto i tuoi piedi senza neanche chiederti di stare fermo.Puoi muoverti.
B: Cioe' che vuol dire T: che con la faccia sotto i piedi puo' camminare su due umili, capito?
B: Bellissima immagine.
T: Esatto
B: e puoi muoverti quanti ti pare e piace e noi zitti sotto
T: va bene
B: e noi zitti sotto. Punto.
T: Scusa il paragone tra il frate e la mosca, non volevamo minimamente offendere. I peccatori di prima.
B: Dobbiamo salutare
T: Con la faccia dove sappiamo
B: Ormai gli si è detto
T: I due peccatori con la faccia dove sappiamo.
B: sempre zitti

T: Sempre zitti
B: Sotto!

"Non ci resta che piangere" M. Troisi - R. Benigni
Un artista decente è destinato ad essere infelice nella vita, ogni volta che ha fame ed apre il suo sacco, ci trova dentro solo perle.

Herman Hesse

«L’artista e la croce. Caravaggio e Pasolini»


"L’accostamento di Pasolini a Caravaggio è senza dubbio spericolato per la distanza che li separa, anche se nell’eterno ritorno delle cose e della poesia una giustificazione in più si può trovare.
[…] Al di là del loro tempo così diverso e lontano, furono entrambi artisti di un tempo di crisi, sul crinale che separa una vecchia era da una nuova sul punto di nascere. Con evidenti e fondamentali differenze: Caravaggio ancora grande classico, l’ultimo straordinario classico della tradizione, come Tasso lo era stato nella poesia; Pasolini poeta novecentesco con il sentimento dell’antico e il senso tragico della modernità, non immune dall’ideologia, ostaggio del suo tempo quando perde la forma e la lingua.
Nella vita furono entrambi grandi interpreti del loro tempo, anche se l’eccellenza assoluta dell’arte caravaggesca non è neppure paragonabile a quella pasoliniana spesso informale e prolissa, senza misura. Entrambi tuttavia furono nella vita figure smisurate rispetto al loro tempo. Artisti entrambi irregolari, se non proprio eretici, dal temperamento irruento e non alieno dallo scandalo, perfino coinvolti in inchieste giudiziarie e perseguitati dalle incomprensioni, alle prese con la «grande guerra santa», come islamici e indù definiscono il percorso interiore e spirituale degli uomini. Perché controcorrente lo furono certamente entrambi, forse anche peccatori, come tante figure bibliche, da Abramo a Mosè. Nei loro visi segnati e nervosi era già segnato un destino.
Li unisce tuttavia quella povera, misteriosa morte consumata su un litorale, davanti all’orizzonte del mare, con l’ultima rivelazione vissuta non in un letto, ma nella natura, loro che avevano avuto come maestra la natura. Non in pace, ma in guerra, perché in guerra si era consumata la loro vita. E tuttavia una morte semplice e reale come la morte di un uomo qualsiasi, un evento molto umano e non tragico, nonostante le tante interpretazioni che ne sono derivate. E neppure emblema o celebrazione di una morte dell’arte, ma soltanto di una vita torturata e intrepida conclusa prima del tempo naturale.
Caravaggio muore non lontano da Roma e in terra toscana, vicino al Mar Tirreno, perseguitato e inseguito come un delinquente, martire come già deve essersi sentito quando si era dipinto così vicino a Orsola che sia avvia la martirio. Ha trentasette anni, come il divino Raffello, poco più dei canonici trentatré anni di Cristo, ma nasce alla vita vera nella memoria degli uomini, come quel raggio di luce che aveva fatto entrare nell’oscurità di una stanza con un senso di redenzione.
Anche Pasolini muore vicino a Roma, davanti allo stesso mare, alla foce del Tevere presso Ostia, nome che sa di agnello sacrificale, dove andavano in un lontano passato le anime salve e dove Agostino aveva perso la madre Monica. Quando Pasolini muore, nel 1975, lui «più moderno d’ogni moderno», sigilla la chiusura di un’epoca e di un secolo, ben prima del reale compimento cronologico. Assiste a tutti i rammodernamenti cruciali della sua epoca: il 1963 nella letteratura, il 1965 nella liturgia ecclesiastica con l’abolizione del latino, il 1968 nella politica; vede la decadenza e il crollo spirituale del mondo conosciuto nell’infanzia e anche lui si adegua e spinge il pedale della protesta che in quel decennio appariva come il primo dovere etico dell’uomo. Entrambi chiudono un’epoca, con la drammaticità che questo comporta. Caravaggio l’epoca classica dell’arte, come qualche anno prima Torquato Tasso, sepolto in cima al Gianicolo, aveva chiuso la grande stagione della poesia italiana. Pasolini chiude l’epoca della modernità e un secolo. E forse per questo furono entrambi sfregiati, perfino nel fisico.
Caravaggio e Pasolini sanno che devono scendere lungo l’Italia, andare dal nord dove sono nati verso il sud, essere sempre più naturali. Vanno a Roma, con lo stesso desiderio di fratellanza con le persone del popolo, con lo stesso furore e disperata vitalità, la stessa fretta di depositare il loro lavoro e di trovare una lingua. Quando Caravaggio arriva a Roma, si sta chiudendo la cupola di san Pietro, il ricordo dell’altro Michelangelo è vivissimo e la città si sta riempiendo di angeli nelle chiese e nelle vie. Le figure d’adolescenti, i garzoni d’osteria e i ragazzi di strada e di vita che incontra tra un’osteria e un ponte, tra uno scontro e una sassaiola, sempre tra San Luigi dei Francesi e Trastevere, sono gli stessi dei quadri. Sono ragazzi belli e gagliardi anche se già minacciati dall’ombra e dalla malattia, come il Fruttaiolo e il San Giovanni Battista, dipinti come fossero veri e non come fossero belli. Sono figure vere, popolane bellissime e donne sfatte del rione, come la Madonna morta e gonfia d’acqua o la stupefacente Madonna davanti alla quale si genuflettono pellegrini miseri che da poco sono arrivati a Roma per il grande Giubileo del 1600, stupiti da quella concretissima visione.
Quando Pasolini arriva a Roma, nel gennaio del 1950, in pieno Giubileo, scopre, accanto alla Roma delle cupole e del Tevere, la Roma delle baracche e dei poveri che parlano in romanesco, con i ragazzi pieni di allegria e di una vita violenta, tra Ponte Mammolo e la Garbatella, ragazzi belli come i giovani caravaggeschi che suonano o che hanno tra le mani cesti di frutta. Allievo di Roberto Longhi, Pasolini, che si traveste cinematograficamente da Giotto, con gli stessi abiti e la fascia bianca sulla fronte, li aveva già visti quei ragazzi nella Fucina di Vulcano dipinta da Velázques, che nel suo soggiorno romano aveva preso dalle borgate romane i suoi modelli.
Tuttavia Roma da sola non li sazia, entrambi cercano il sud greco e mediterraneo, l’Africa e il fondamento di Roma nell’Africa, come altri avevano fatto, a cominciare da Petrarca e poi Rimbaud. Caravaggio scende a Napoli, si ferma nel luogo dove sono accolti poveri e infermi, nel cuore di Spaccanapoli; va verso terre arabe e greche in Sicilia, e si spinge fino a Malta. Pasolini cerca in Africa quello che non trova più nella vecchia Europa e lì sposta anche la rappresentazione delle Orestiadi.
È in Africa che era nata, prima ancora che a Gerusalemme, l’idea egiziana di una vita vera tramite l’assimilazione a un dio sofferente. E le loro opere prendono la direzione del sud mediterraneo, là dove l’umanità è più dimessa e diseredata, dove Roma si è allargata comprendendolo. La redenzione, la luce nell’ombra, forse potranno trovarla laggiù, lontano dal centro.
Il miracoloso percorso di Caravaggio, dall’empirismo nordico all’umanità popolare del sud, non può ripetersi con Pasolini, figlio del suo tempo, che cerca nel sud un mito ancora romantico e improbabile, lontano dal grande e autentico meridione greco caravaggesco.Tuttavia l’essenza cristologica del loro lavoro è innegabile. La croce è il segno presente nell’opera di entrambi…"

Tratto da “L’artista e la croce” di Gabriella Sica Ed. Marsilio

Pasolini secondo Federico Zeri


Pasolini era un uomo bifronte: da una parte era affascinante, aveva una voce incredibilmente bella, la voce piu' bella che abbia mai sentito, la voce di un angelo; dall'altra, accanto a questa voce c'erano dei particolari repellenti, le mani per esempio, fredde, sudate, non so, mi faceva una grande impressione toccarle, poi aveva l'aspetto, io l'ho detto altre volte, di una bellissima statua greca in bronzo caduta da un autotreno, sull'autostrada e ammaccata, aveva qualche cosa di ammaccato, di rovinato, pero' era un personaggio incredibilmente... unico, io lo considererei. Io lo avvicino molto alla figura di Caravaggio, anche per la fine. Secondo me c'è una forte affinita' fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perche' in tutt'e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi.
[...] Pasolini ha avuto una sorta di folgorazione, dalla pittura antica, e quando ha approfondito questa sua, diciamo, curiosita' ha trovato che la pittura antica puo' fornire una quantita' enorme di spunti tipologici, formali, che lui ha tutti reinterpretati. Ha guardato poi in modo particolare Rosso e Pontormo perche' erano pittori dei quali avvertiva la sostanza agitata tipica di un periodo di crisi, di transmutazione. Ha avvertito soprattutto in Pontormo il dramma interno dell'artista solitario, incompreso, omosessuale e in Rosso ha capito, non so pero' fino a quale punto, il profondo divario fra le cose che dipingeva e quelle in cui credeva. Secondo me Rosso e' un pittore blasfemo, un pittore non dico ateo, ma per lo meno molto scettico, che prende in giro anche le cose piu' sacre della pittura. Io me ne sono accorto quando ho visto l'Ecce Homo, cioe' il Cristo morto con gli angeli, oggi nel Museo di Boston.
[...] Quella che fosse la religiosita' di Pasolini non l'ho mai capita bene. Debbo dire che Pasolini, a mio avviso, era profondamente cattolico, nel suo intimo; era formato dall'Italia cattolica, quindi aveva un forte senso del peccato, un forte senso della redenzione, un forte senso della liberazione dal peccato e dal senso di colpa. Questo secondo me era Pasolini. Io quando l'ho conosciuto, l'ho incontrato piu' di una volta e ho avuto sempre l'impressione di una persona profondamente toccata dal senso di colpa, agitata, quasi tormentata, lacerata, ecco il vero termine che si addice a Pasolini, lacerata, una persona che voleva essere punita. Poi anche il culto della mamma, che era molto profondo in Pasolini, tant'e' vero che la madre addirittura mi sembra appaia come Madonna in un film che e' Il Vangelo secondo Matteo.

(Tratto dal programma televisivo Pasolini e noi mandato in onda da Canale 5 nel 1995)